Per una storia della verità
paolo vernaglione berardi
Michel Foucault nella prima lezione dell’ultimo corso al Collège de France, Il coraggio della verità, riprende la nozione di parresia e definisce diversi modi del dir vero. le strutture caratteristiche dei differenti discorsi che vengono accetatati come veri si riferiscono a campi del sapere e a pratiche di verità che costituiscono eventi storico-politici.
Diversi modi di produrre il discorso vero delimitano lo spazio in cui si producono i rapporti tra soggetto e verità e attraverso l’insieme delle relazioni di verità il soggetto riconosce sè stesso ed è riconosciuto come colui che dive la verità. «Il soggetto che dive la verità si manifesta». La circoscrizione di questo insieme di relazioni alla verità si può chiamare aleturgia. Le forme aleturgiche riferiscono i modi in cui un soggetto manifesta a sè e agli altri la verità del proprio discorso e le aleturgie sono anche i modi in cui il soggetto si lega alla verità. Il doppio vincolo alla verità del discorso e del soggetto nel manifestarsi genera il riconoscimento del soggetto come colui che dice il vero.
Attraverso l’analisi delle pratiche di verità emergono le differenze tra diverse forme di sapere che costituiscono gli a priori storici della cultura occidentale.
Dall’archeologia del soggetto che parla, che lavora e che vive alla costruzione del folle e del criminale, alla genealogia delle pratiche del sè nell’antichità e nel cristianesimo (confessione, esame di coscienza, direzione spirituale) e alla praduzione del discorso di sessualità, la ricerca dei rapporti tra soggetto e verità fa emergere un indice storico che configura la prassi in occidente: l’ingiunzione a dire il vero su se stessi. L’obbligo di verità che dall’antichità greco-romana giunge alla nostra contemporaneità percorre la storia del soggetto determinandone i rapporti al mondo, a sè e all’altro.
Per costituire “sè” il rapporto alla verità è la condizione necessaria della verità del soggetto e questa verità non può prescindere dall’altro. «…questo altro… mi è necessario affinchè io possa dire il vero su me stesso».
L’antica epimeliea eautou, la cura di sè, diviene una pratica di vita se c’è un’altro, un maestro, un’amico, un pedagogo, un’amante; d’altra parte qualsiasi attività e soprattutto la politica deve prevedere una cura di sè, un continuo esercizio di parresia (dir vero, parlare franco, dire tutto) in cui il soggetto riconosca se stesso e sia riconosciuto dagli altri come soggetto di verità. Le diverse forme di parresia dunque configurano campi di sapere diversi in cui si articolano rapporti di potere e forme di soggettività diverse. La prima forma di parresia ad apparire è la parresia politica che è inscritta nella questione della democrazia e che subirà uno spostamento verso la sfera dell’etica personale.
Questa trasformazione che Foucault indaga nei corsi dal 1980 al 1984, inaugura il campo di ricerca delle tecnolgie di governo di sè e degli altri. Il governo è l’indice di rapporti di sapere-potere che regolano la governamentalità, cioè la gestione amministrativa, burocratica delle popolazioni. Il governo e non un’astratta costituzione politica organizza e produce la soggettività. Gli effetti di governo condensano i rapporti tra verità, poteri e soggetti.
A differenza della parresia politica, la retorica parresiastica può essere praticata sia in funzione negativa che positiva. Dire tutto, dire totalmente può anche scadere nel dire tutto ciò che passa per la mente. Chiunque in democrazia può dire qualsiasi cosa, tutto ciò che può essere utile alla causa che si difende.
Il parresiasta diventa un chiacchierone impenitente». La cattiva democrazia di cui parla Platone nella repubblica è il regime in cui «ognuno può dire tutto».
In senso positivo la parresia è la pratica del dire tutto senza nascondere niente; dire la verità senza mascherarla in nessun modo. Ma tutto questo prosegue Foucault non basta. Il vero parresiasta è colui che esprime completamente e a voce alta la propria opinione e che nel far questo accetti il rischio che la verità comporta. Il coraggio della verità consiste in questa assunzione, in quest’obbligo, in questo rischio. Il rischio del dire il vero consiste negli effetti della verità sugli altri. Chi dice la verità apre, introduce e affonta il rischio di ferire l’altro, «provocare certi suoi comportamenti che possono spingersi fino alla violenza più estrema».
Dire la verità può rompere le amicizie, delegittimare i poteri, smontare la retorica delle istituzioni, liberare le forme di sapere dai rapporti di subordinazione. Socrate muore; Platone a Siracusa rischia la vita; Aristotele nell’Etica a Nicomaco chiama la parresia grandezza d’animo.
Mentre il filosofo che dice il vero rischia sè stesso e la relazione agli altri, il retore è un mentitore efficace che «punta ad istaurare un vincolo costrittivo di potere tra ciò che viene detto e colui al quale ci si rivolge».
A differenza della retorica, che è un mestiere con delle tecniche che si apprendono, la parresia nella forma originaria è un comportamento, un’attitudine, un modo di essere.
Parresia politica e parresia retorica dunque.
La parresia politica si distingue anche da un’altra forma del dir vero che è quella profetica. Il profeta non parla per se stesso; è un mediatore; dice la parola di Dio. «Rivolge agli uomini una verità che viene da un altro luogo». Il profeta poi è colui che rivela ciò che ancora non accade; è colui che si colloca tra il presente e il futuro. ma la sua rivelazione è oscura, è in enigmi. Il profeta non rivela una verità nella trasparenza ma l’avvolge nelle possibilità incerte dell’interpretazione.
La differenza tra parresia e profezia consistono dunque nel modo in cui si proferisce la verità e nel modo in cui ci si vincola alla verità. Il parresiasta parla a proprio nome mentre il profeta a nome di Dio e «articola una voce che non è la sua; il profeta ha uno sguardo sull’avvenire e coglie dell’avvenire ciò che gli umani non possono vedere, metre il parresiasta rivela agli uomini ciò che c’è, «li aiuta nella cecità su loro stessi; su errori, vizi, viltà, distrazioni. Il profeta parla per enigmi mentre il parresiasta dice il vero nella ruvida espressione diretta della verità.
C’è poi ancora un’altra modalità di parresia che è la saggezza. Il saggio, esemplato dalla figura di Eraclito rqaccontata da Diogene Laerzio, è colui che è presente in ciò che dice, la sua saggezza è il suo dir vero. Non è un portavoce come il profeta, ma, come il parresiasta, è saggio per sè stesso, dice la sua propria verità. Il saggio è saggio in sestesso e non ha bisogno di parlare. preferisce ed esercita la saggezza in silenzio e quando parla le sue parole sono enigmatiche. Il saggio è appartato e vive isolato, fuori dalla città, fuori dal mondo che lo rifiuta proprio in quanto saggio. Eraclito vive appartato, rimane in silenzio e il suo poema è oscuro, la sua comprensione essendo riservata a pochi.
Le differenze tra sapienza e parresia risaltano in questo atteggiamento: il saggio mantiene il silenzio, il parresiasta cerca il confronto, interpella, è obbligato a parlare. Il saggio vive isolato mentre il parresiasta percorre la città e ne rivela i poteri; il saggio parla per enigmi come il profeta mentre il parresiasta dice chiaramente ciò che è; il saggio esercita la sua saggezza intorno all’essere in generale mentre il parresiasta dice ciò che è nella contingenza e nella singolarità degli individui. «Al suo interlocutore il parresiasta non rivela il suo essere. Gli svela o lo aiuta a riconoscere quello che egli è realmente».
C’è poi una terza modalità di parresia che è quella del tecnico, dell’insegnante che è una declinazione del profeta e del saggio. Il tecnico e l’insegnante sono in rapporto con il parresiasta. I personaggi di Platone sono il medico, il musicista, il calzolaio, il falegname, il maestro d’armi, il ginnasiarca e possiedono una techné, un saper fare, una conoscenza pratica, una askesis e una meleté.
Il tecnico come il professore è depositario di un sapere pratico che gli proviene da un ammaestramento che altri tecnici prima di lui gli hanno impartito. Si tratta di un sapere tradizionale che il tecnico e l’insegnante sono tenuti a trasmettere per un certo dovere di parola. Ma l’insegnante e il tecnico non corrono alcun rischio a differenza del parresiasta. per insegnare «nessuno ha bisogno di essere coraggioso». La verità della trasmissione di una tecnica e di un sapere genera una relazione di fiducia e di amicizia, per esempio tra maestro e allievo; il dir vero del tecnico-insegnante «instaura una filiazione», al contrario la verità del parresiasta produce delle rotture dei legami e delle amicizie e mette a rischio la vita di colui che dice la verità. L’insegnamento «assicura la sopravvivenza del sapere, mentre chi pratica la parresia corre il rischio di morire».
La verità del parresiasta provoca ostilità, guerra, odio e morte. Dunque il parresiasta non è il profeta, non è il saggio, non è il tecnico insegnante. Non dice nè il destino, nè l’essere, nè la techné. Egli «mette in gioco il discorso vero di ciò che i greci chiamavano l’ethos. L’ethos ha la sua forma di veridizione nel parresiasta. Profezia, saggezza, insegnamento, parresia: quattro modi di veridizione che si riferiscono ad ambiti differenti: destino, essere, techné, ethos. Modi di veridizione e non personaggi con ruoli istituzionali, ricorda Foucault, anche se in alcuni periodi derll’antichità hanno assunto precisi ruoli sociali.
Le quattro forme di veridizione si trovano mischiate e contaminate in personaggi diversi. Socrate è parresiasta, profeta del dio di Delfi, ma è anche saggio.
Nel corso di una storia della verità che nell’antichità raggiunge il punto più alto con i cinici, con la vita vera dei cinici che è la vita di verità, la vita altra, la vita randagia, la vita povera, la vita che strappa il velo alla città e alla politica della città; nel corso di questa storia ancora da fare, modi differenti di veridizione producono differenti regimi di verità le cui forme si intrecciano in una misura specifica. Foucault ne indica in sintesi il decorso mostrandone il rilievo. Nell’antichità greco-romana saggezza e modalità parresiastica si avvicinano; nel cristianesimo medievale si accostano profezia e parresia. «E nell’epoca moderna, mi direte? Non lo so proprio». Si potrebbe forse dire che la vera parresia nella modernità è scomparsa e la si ritrova intarsiata insieme alle altre forme di veridizione nei profili della nostra epoca.
Il discorso rivoluzionario assume una certa modalità profetica e parresiastica nella critica del presente e dell’avvenire; il discorso filosofico intreccia sapienza e dir-vero nella ricerca della finitudine; il discorso scientifico assume la parresia nella critica dei pregiudizi, dei saperi e delle istituzioni dominanti.