L’esodo da città invivibili e da società in rovina, l’esodo dalla politica della rappresentazione che cattura corpi, saperi e forme di vita è la forma che assumono tecniche di disattivazione e di espropriazione degli attuali stili di vita.
In questa condizione oltre-umana la possibilità politica e spirituale di “vivere una vita” è l’erranza. L’esilio non riguarda una generazione e non riguarda il presente, ma forse, come Nietzsche aveva previsto, donne e uomini dell’avvenire. Destituire non è una pratica politica scelta come nel recente passato; è la condizione permanente della vita nella situazione della politica mondiale già indicata da Pasolini – quella dell’anarchia del potere. Le possibilità di sospensione dello stile di vita del potere e delle tecnologie di cattura della vita sono possibilità di destituzione, di non riconoscimento, di erranza. E sono possibilità da comprendere in un presente che è già mutato rispetto a pochi anni fà.
L’inoperosità come pratica di vita che si oppone a retorici pronunciamenti filosofico-politici intorno ad un soggetto della prassi assume oggi il senso dell’esodo. Esodo non è inazione, non è pacificazione, non è rinuncia. É il movimento di scarto, di deviazione, di scomparsa del fronte e di mutazione della forma di contrasto ai dispositivi di dominio.